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L’assegno di mantenimento per i figli

Quando l’amore e l’affetto tra due persone termina – siano esse coniugate o meno – spesso:

  • l’affidamento dei figli nati in costanza di matrimonio o al di fuori di esso;
  • la determinazione dell’assegno di mantenimento a favore dei figli

 porta ad un’alta conflittualità all’interno della coppia.

Cos’è l’assegno di mantenimento per i figli?

L’assegno di mantenimento per i figli è una misura contributiva a carattere patrimoniale che il genitore non collocatario – ossia quello presso il quale i figli non sono stabilmente residenti in caso di separazione/divorzio dei genitori – è tenuto a versare:

  • all’altro genitore
  • direttamente al figlio maggiorenne per coprire in via proporzionale le sue esigenze di vita.

Detto obbligo – disciplinato dalla legge ex art. 315 bis c.c. – sorge per il solo fatto di aver generato un figlio e sussiste fin quando questi non abbia raggiunto una propria indipendenza economica.

L’ammontare dell’importo deve essere idoneo a soddisfare le esigenze della prole aldilà del mero aspetto alimentare.

L’assegno, difatti, andrà parametrato in base alle:

  • esigenze abitative, scolastiche, sportive, sanitarie e sociali
  • età
  • al tenore di vita della famiglia.

Da quando bisogna corrispondere assegno di mantenimento?

Si è già avuto modo di evidenziare come i genitori non possano venire meno all’obbligo di contribuzione nei confronti dei figli.

Detto obbligo ha una finalità diversa sia rispetto all’assegno di mantenimento posto a favore del coniuge economicamente più debole che all’assegno divorzile.

L’obbligo di corrispondere l’assegno di mantenimento a favore dei figli decorre in modi e tempi differenti a seconda del tipo di rapporto dei genitori e alla procedura attivata dalle parti.

  • Nel caso di separazione/divorzio giudiziale: l’obbligo di corresponsione dell’assegno di mantenimento inizia a decorre, in via provvisoria, a partire dall’udienza presidenziale. In detta sede il Giudice autorizzando i coniugi a vivere separati dispone con apposita ordinanza le misure economiche a favore della prole ed eventualmente dell’altro coniuge. La misura dell’assegno mantenimento così determinata potrà essere poi modificata/riconfermata in via definitiva con la sentenza che chiude il giudizio all’esito dell’attività istruttoria svolta incentrata per lo più sulle effettive capacità reddituali dei coniugi.
  • Nel caso di separazione consensuale: in tal caso obbligo di mantenimento decorre – in via provvisoria – dall’ordinanza emessa all’esito di c.d. fase presidenziale per divenire definitivo a seguito di intervenuta omologazione da parte del Tribunale dell’accordo di separazione raggiunto tra coniugi.
  • Separazione tramite negoziazione assistita: l’obbligo di mantenimento – il cui quantum viene definitivo direttamente dai coniugi in accordo negoziazione .– decorre definitivamente dal momento in cui perviene il nulla osta alla separazione da parte del Tribunale
  • Nel caso di riconoscimento sopravvenuto del figlio.: l’obbligo di mantenimento del figlio decorre in via definitiva a partire dalla sentenza che accerta lo status di figlio. Così facendo il Tribunale si occupa anche della definizione degli aspetti economici del rapporto genitoriale, ponendo in capo al genitore di cui si sia accertata paternità l’obbligo di contribuire in modo effettivo al mantenimento del figlio. Se il riconoscimento di paternità sopravviene molto dopo la nascita del figlio, il genitore che di fatto si sia accollato il pieno mantenimento del figlio fino al momento del riconoscimento avrà diritto a chiedere al genitore riconoscente una somma pari al mantenimento non versato da quest’ultimo per gli anni pregressi al riconoscimento nonché – a favore del figlio – il risarcimento del danno da c.d. lesione del rapporto parentale.
  • Nel caso di cessazione convivenza di fatto: in detta fattispecie spesso e volentieri la misura dell’obbligo di mantenimento viene già fissata dai conviventi – in via preventiva – nel contratto c.d. di convivenza. Ne consegue che l’obbligo di corrispondere assegno di mantenimento inizia a decorrere da quando si realizzi la condizione della cessazione della convivenza tra genitori. Resta ferma la possibilità di ricorrere in giudizio nel caso in cui il genitore su cui grava l’obbligo non adempia spontaneamente allo stesso.

Come si calcola l’assegno di mantenimento?

Per determinare la misura del mantenimento dovuto – fatto salvo il diverso accordo delle parti – interviene in legislatore fissando i seguenti punti fermi:

Contributo proporzionale dei genitori

I genitori sono tenuti a contribuire entrambi al mantenimento dei figli, ognuno proporzionalmente alla propria capacità economica. Il riferimento alla capacità economica del singolo genitore include tutte le entrate economiche di cui lo stesso goda (es. derivanti da stipendio,. rendite di cui beneficiario, investimenti finanziari, locazioni immobiliari etc.) così come risultati dalla dichiarazione dei redditi dello stesso.

Ne consegue logicamente che, nel caso di contrasto tra genitori circa l’effettiva capacità economica di cui disponga l’altro, il primo passo sarà quello di acquisire- come già normalmente accade in sede di separazione giudiziale – la dichiarazione dei redditi nonché, ove opportuno, di fare istanza all’Agenzia delle Entrate per gli opportuni ulteriori accertamenti tributari volti a rilevare tutte le voci di reddito di cui la parte sia effettivamente titolare (link articolo accesso agenzia entrate)

Elementi per determinare l’assegno di mantenimento

L’assegno va determinato tenendo conto di una serie di circostanze determinate ex lege, tra cui:

  1. Esigenze di vita del figlio: rientrano in tale parametro tutte le esigenze di vita del figlio – non solo strettamente alimentari – ma anche educative, di salute, ricreative e sociali.

Le voci di spesa ascrivibili alle esigenze della prole, a livello prettamente pratico, possono essere ricondotte alle due categorie di:

  1. Mantenimento ordinario: appartengono a tale categoria tutte le spese che, ordinariamente, vengono sostenute per garantire al figlio una crescita sana e corretta (es. spese di istruzione, acquisto vestiario, acquisto cibi etc.). La copertura della stesse spetta proporzionalmente ai coniugi, nella misura fissata nell’assegno di mantenimento.
  2. Mantenimento straordinario: appartengono a tale categoria tutte le voci di spesa c.d. straordinarie – ovvero direttamente ricollegate ad eventi nella vita del figlio esulanti l’ordinario e non quantificabili ex ante in via forfettaria – imputate ai genitori nella misura del 50% a testa (es. spese sanitarie, ripetizioni scolastiche).

La riconduzione di una voce di spesa nel novero del mantenimento ordinario piuttosto che nel mantenimento straordinario viene indicata agevolmente da protocolli appositamente elaborati in tribunale.

  • Tenore di vita pregresso alla cessazione rapporto affettivo genitori: tale parametro è in linea con la volontà del legislatore di far sì che il venir meno del rapporto affettivo tra genitori non abbia delle conseguenze dirette sullo stile di vita mantenuto dal figlio durante la convivenza famigliare.  
  • Tempo di permanenza presso genitori: tale parametro si collega alla modalità di affidamento c.d. condiviso dei figli – modalità ordinaria da scegliersi salvo casi eccezionali – e deve essere interpretato nel senso che la misura dell’assegno di mantenimento terrà conto del fatto che il figlio permarrà presso entrambi i genitori, secondo le modalità definite dagli stessi/dal giudice.

Da tale parametro non può, invece, desumersi la legittimità di una richiesta di riduzione/eliminazione dell’obbligo di mantenimento per il fatto che il genitore cd. non collocatario passi del tempo con il figlio (es. vacanze, cene al ristorante etc.) sostenendone direttamente i costi: la misura dell’assegno di mantenimento – come appena visto – non copre soltanto le esigenze prettamente alimentari della prole ma ha natura più complessa volta a garantire le molteplici esigenze dei figli e pertanto non può essere scalfita per il solo fatto che – per brevi periodi di tempo – il genitore non collocatario si faccia direttamente carico del sostentamento alimentare del figlio.

La misura dell’assegno di mantenimento – individuata alla luce di detti parametri – non è in ogni caso immutabile nel corso del tempo ma, al contrario, potrà essere oggetto di una modifica sia al rialzo che al ribasso ove si accerti un mutamento delle circostanze che avevano portato alla prima quantificazione. Elementi idonei a giustificare un’istanza di rideterminazione della misura iniziale dell’assegno di mantenimento possono essere, ad esempio, la modifica delle condizioni economiche dei genitori (tanto nel senso di un miglioramento quanto deterioramento tanto delle condizioni del coniuge tenuto alla corresponsione assegno quanto del coniuge destinatario dello stesso) nonché il progredire dell’età del figlio, circostanza a cui la giurisprudenza normalmente ricollega un ampliamento delle esigenze di vita dello stesso che i genitori sono tenuti a garantire.

Qual è la durata dell’obbligo di corresponsione assegno di mantenimento?

La legge dispone l’obbligo contributivo a favore del figlio fino al raggiungimento della maggiore età.

Tale indicazione non è tuttavia più attuale essendo inverosimile che il figlio raggiunga l’indipendenza economica con il raggiungimento della maggiore età.

Per questo motivo, oggi, il parametro di riferimento per il venir meno dell’obbligo contributivo è costituito dal raggiungimento dell’indipendenza economica del figlio.

Ma in concreto qual è termine temporale massimo? Tale questione è fortemente dibattuta scontrandosi il fenomeno dei figli cd. fannulloni con il diritto alla formazione e ad aspirare ad un posto di lavoro compatibile con il percorso di studi intrapreso da parte degli stessi.

In linea di massima la giurisprudenza più recente ha affermato che un figlio ha diritto a ricevere il mantenimento fintanto che:

  • continui un percorso di formazione/studio in modo meritevole;
  • dimostri di aver fatto tutto il possibile per rendersi indipendente economicamente e che la mancata autonomia non dipenda da causa a sé imputabile ossia da un suo disinteresse quanto piuttosto dalla scarsità di offerte presenti sul mercato del lavoro.

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