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Oltre al danneggiato principale anche i congiunti possono essere lesi dalla condotta illecita altrui e, quindi, risarciti

il danno riflesso in ambito sanitario

Si parla di “danno riflesso” per indicare il pregiudizio subito da un soggetto (c.d. vittima “secondaria” o “di rimbalzo”) quale diretta conseguenza di un danno arrecato primariamente ad altra persona (c.d. vittima “principale”).

Per quale motivo si parla di “danno riflesso”?

Quando un soggetto riporta lesioni (o, peggio ancora, muore) per un fatto colposo altrui (secondo la definizione generale dell’art. 2043 c.c.) le persone che gli vivono accanto, i c.d. “prossimi congiunti”, possono subire anch’essi un danno consistente soprattutto nella sofferenza vissuta per la malattia della persona cara (o, nei casi estremi di decesso, per la perdita del rapporto parentale) e nel cambiamento in peggio che la nuova realtà di vita provoca nella vita quotidiana.

Siamo quindi al cospetto di eventi che incidono negativamente sul diritto alla integrità delle relazioni parentali e familiari, costituzionalmente tutelato (cfr. artt. 2, 29 e 30 Costituzione).

In ipotesi di danno provocato da responsabilità medica (c.d. “malpractice”), quindi, il fatto colposo addebitabile al personale sanitario colpisce sì in via primaria il paziente sottoposto a cura ma, in aggiunta, può provocare ripercussioni negative anche agli altri soggetti facenti parte del contesto familiare della vittima principale.

I prossimi congiunti, pertanto, in quanto anch’essi direttamente danneggiati dal fatto illecito altrui, avranno la possibilità di chiedere in proprio il conseguente risarcimento (giurisprudenza costante a partire dalla sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione Civile n. 9556/2002).

L’ipotesi di un danno riflesso può aversi in ogni ambito di illecito (responsabilità sanitaria, sinistri stradali, danno in ambito lavorativo, etc.).

Chi sono i “prossimi congiunti”?

Come detto, si parla di “prossimi congiunti” per indicare le persone vicine, i familiari, della vittima principale che finiscono per subire essi stessi, in via diretta e a causa del fatto illecito del sanitario, un danno.

È importante sottolineare che ogni caso concreto fa storia a sé, in quanto il nostro ordinamento non prevede alcun “automatismo” in forza del quale dal rapporto di parentela tra vittima principale e secondaria debba conseguire sempre e comunque un risarcimento anche per la seconda.

È vero che determinate situazioni personali fanno presumere anche l’esistenza di un sottostante vincolo affettivo e relazionale (ad es. tra marito e moglie, genitori e figli, fratelli, etc.), ma si tratta appunto di presunzioni che debbono essere accompagnate, per dare luogo a risarcimento, dall’accertamento che nel caso di specie a quella situazione teorica corrisponda anche in concreto un rapporto affettivo tra i due soggetti di natura stabile, particolarmente intenso e di sicura vicinanza psicologica e  morale.

Anche sulla base di quanto previsto dalle tabelle risarcitorie di riferimento (elaborate dall’Osservatorio sulla Giustizia Civile di Milano e dal Tribunale di Roma) possiamo dire che con l’espressione “prossimi congiunti” solitamente ci si riferisce a:

  • ascendenti o discendenti: figli, genitori, nonni, nipoti, etc.
  • coniuge, parte di unione civile, convivente
  • fratelli e sorelle
  • altri parenti (zii, cugini, etc.)

Come viene quantificato il danno?

Una volta accertato che anche il prossimo congiunto ha subito un pregiudizio per il fatto illecito subito dalla vittima principale occorre quantificare il danno medesimo, e cioè tradurlo in equivalente monetario da risarcire.

Tale operazione matematica viene effettuata applicando al caso concreto i valori economici stabiliti da apposite tabelle che, sul territorio nazionale, sono identificate in quelle elaborate dall’Osservatorio sulla Giustizia Civile di Milano o dal Tribunale di Roma.

Al di là delle ragioni tecniche che portano a preferire l’utilizzo dell’una o dell’altra tabella (a tutt’oggi oggetto di dibattito e contrasto in giurisprudenza) entrambe sono predisposte sulla base di alcuni parametri fondamentali che orientano la quantificazione del danno, essi sono:

  • l’età delle vittime principale e secondaria
  • il grado di parentela tra vittima principale e secondaria
  • l’eventuale stato di convivenza tra vittima principale e secondaria
  • l’eventuale presenza di altri congiunti del nucleo familiare

Occorre tuttavia prestare attenzione al fatto che l’applicazione dei valori monetari indicati dalle tabelle non è pura operazione matematica, ciò in quanto esse forniscono una “forbice” di valori (variabili da un minimo ad un massimo) di riferimento proprio al fine di adeguare il risarcimento al caso concreto, con la possibilità di dar luogo anche a correttivi in ragione della particolarità della situazione.

Un esempio concreto può chiarire il concetto.

Prendiamo il caso di una persona che muoia a 50 anni a causa di un errore medico, lasciando come familiari superstiti la moglie 45enne e una figlia 30enne conviventi, senza altri congiunti.

Applicando le Tabelle di Roma (da ultimo aggiornate al 2019) la quantificazione di massima e puramente esemplificativa sarebbe la seguente:

  • coniuge superstite: € 294.201,00
  • figlia superstite: € 284.394,00

Applicando le Tabelle di Milano (aggiornate al 2022) la quantificazione di massima e puramente esemplificativa sarebbe la seguente:

  • coniuge superstite: da € 235.550,00 ad € 336.500,00
  • figlia superstite: da € 249.010,00 ad € 349.960,00

Si comprende immediatamente come l’attività di quantificazione del danno c.d. “riflesso” non sia una operazione di puro calcolo ma richieda conoscenze tecniche che solo un professionista del settore può vantare.

Quanto tempo ho per chiedere il risarcimento?

Come ogni diritto anche quello relativo al risarcimento di danno “riflesso” è soggetto a prescrizione: ciò significa che, decorso un determinato periodo di tempo stabilito dalla legge senza che il titolare di un diritto lo eserciti, quel diritto viene perduto (cfr. art. 2934 c.c.).

In ipotesi di responsabilità sanitaria i prossimi congiunti della vittima principale possono far valere il proprio diritto al risarcimento del danno nel termine di cinque anni dal momento in cui il fatto generatore di danno si è verificato (cfr. art. 2947 co. 1 c.c.).

L’ordinario termine di prescrizione decennale (cfr. art. 2946 c.c.), infatti, vale solo nei confronti del paziente-vittima principale e non rispetto ai suoi familiari, perchè nei confronti di costoro i sanitari e le strutture sanitarie non rispondono a titolo “contrattuale” bensì a titolo “extra-contrattuale”.

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