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Quando le richieste dell’organizzazione aziendale superano le capacità del lavoratore per farvi fronte, può insorgere uno stato psico-fisico negativo definito come “stress lavorativo”

lo stress lavoro-correlato

Che cos’è lo “stress lavoro correlato”?

Lo “stress” non è uno stato di malattia bensì un processo messo in atto dall’organismo umano come reazione e risposta ad eventi e sollecitazioni esterne, con lo scopo di adattarsi ad esse.

Può tuttavia capitare che tali effetti “indotti” del corpo umano, come detto destinati ad adattarsi alla condizione ambientale circostante, specie se prolungati nel tempo o di particolare entità, inneschino vere e proprie patologie.

Tanto è vero che il Testo unico in materia di tutela della salute e della sicurezza ha esteso l’obbligo di valutazione preventiva dei rischi anche a «quelli collegati allo stress lavoro-correlato, secondo i contenuti dell’accordo europeo dell’8 ottobre 2004» (cfr. art. 28 co. 1 D.Lgs. n. 81/2008).

La definizione normativa dello stress lavoro-correlato si rinviene quindi nell’Accordo Europeo 08.10.2004 (recepito in Italia dall’Accordo Interconfederale 09.06.2008) il cui art. 3 afferma: “Lo stress è uno stato, che si accompagna a malessere e disfunzioni fisiche, psicologiche o sociali e che consegue dal fatto che le persone non si sentono in grado di superare i gap rispetto alle richieste o alle attese nei loro confronti … Lo stress non è una malattia ma una esposizione prolungata allo stress può ridurre l’efficienza sul lavoro e causare problemi di salute … Lo stress da lavoro può essere causato da vari fattori quali il contenuto e l’organizzazione del lavoro, l’ambiente di lavoro, una comunicazione “povera”, ecc.”.

Occorre precisare che la citata legislazione esclude espressamente dal proprio ambito di operatività le ipotesi di condotte violente, moleste e mobbizzanti (cfr. art. 2 degli Accordi), quindi la conflittualità interpersonale sul luogo di lavoro.

A tale mancanza ha però posto rimedio la prassi amministrativa che ha in più occasioni ricompreso anche l’aspetto dell’ostilità lavorativa tra quelli da considerare in sede di valutazione preventiva dei rischi (cfr. ad esempio Circolare Ministero Lavoro 18.11.2010 e Manuale INAIL 2017).

Anche se, come detto, lo “stress lavoro correlato” non è in sé e per sé una malattia e non richiede, ai fini del riconoscimento della sua esistenza, che una sindrome medicalmente accertabile si manifesti, spesso la giurisprudenza confonde ancora i due aspetti andando ad associare ambiente lavorativo stressogeno e insorgere di un disturbo clinico (in tal senso, ad esempio, Corte Appello Perugia, Sezione Lavoro, 08.09.2023, n. 118). Tale atteggiamento “ambivalente” può essere in parte giustificato dal fatto che quello dello “stress lavoro” è un tema tutt’oggi in evoluzione per cui anche in ambito giudiziario si fatica ad abbandonare le più consolidate categorie del “mobbing” e dello “straining“.

Per fortuna si fa sempre più strada una interpretazione evolutiva e non statica dell’ordinamento in particolare con riguardo alla tutela delle condizioni di lavoro secondo quanto prescritto dall’articolo 2087 c.c.: ne è un esempio una recente sentenza di merito (Tribunale Padova, Sezione Lavoro, 06.03.2024, n. 171) nella quale si afferma espressamente che il danno stress lavoro-correlato «si distingue dal danno biologico inteso quale lesione dell’integrità psicofisica del soggetto (danno alla salute), che si concretizza, a differenza del danno da usura psicofisica, in una “infermità” fisica e/o psichica».

Quali sono le cause dello stress lavorativo?

L’analisi della psicologia del lavoro e della recente giurisprudenza consente di suddividere le fonti di stress lavoro correlato in:

  • fattori propri del contesto lavorativo
  • fattori propri della prestazione lavorativa

o, ancora, in linee di tendenza:

  • discrepanza quantitativa e qualitativa tra organizzazione del lavoro e prestazione lavorativa
  • discrepanza interpersonale tra organizzazione del lavoro e persone

Per fare degli esempi, vengono ricompresi tra le cause riconducibili alla relazione tra lavoratore ed organizzazione aziendale:

  • la poca comunicazione o il poco sostegno nella gestione di problemi o cambiamenti aziendali
  • la inadeguata definizione degli obiettivi lavorativi e la mancante o inadeguata evoluzione di carriera (anche sotto l’aspetto economico)
  • l’ambiguità o conflitti nei ruoli ricoperti
  • la scarsa partecipazione ai processi decisionali
  • isolamento e conflitti interpersonali sul luogo di lavoro
  • impossibilità o difficoltà nella conciliazione vita-lavoro

Riguardano invece la prestazione lavorativa:

  • le mancanze dell’ambiente di lavoro (poca illuminazione, temperature alte o basse, ventilazione insufficiente, carenze igienico-sanitarie, etc.)
  • la ripetitività o monotonia delle mansioni
  • il superlavoro (intesa come prestazione lavorativa che ecceda la normale tollerabilità) o sovraccarico di lavoro
  • turni di lavoro troppo lunghi o rigidi (quindi problematici da gestire nella vita personale)
  • controlli esasperati sullo svolgimento delle mansioni

Lo stress lavoro-correlato è una “malattia professionale” indennizzabile dall’INAIL?

Come analizzato in un precedente articolo (Risarcimento da malattia professionale qui rinvenibile) in caso di insorgenza di malattia connessa con lo svolgimento delle mansioni il lavoratore può aspirare ad ottenere dall’INAIL un indennizzo economico.

Come detto in apertura lo stress lavoro correlato non rappresenta una malattia bensì un processo di risposta dell’organismo umano a sollecitazioni provenienti dall’ambiente esterno; di per sé considerato, pertanto, non rientrerebbe nel perimetro di operatività del Testo Unico INAIL (DPR n. 1124/1965).

Laddove però dalla situazione di stress lavorativo insorgano altre patologie ad esso connesse in danno del lavoratore ecco che costui potrà chiedere all’inail il riconoscimento di una malattia professionale indennizzabile.

Come affermato, seppur recentemente, dalla giurisprudenza (in particolare dalla Sezione Lavoro della Corte di Cassazione con sentenza n. 5066/2018) lo stress lavoro-correlato rappresenta un «rischio specifico improprio» e cioè «non strettamente insito nell’atto materiale della prestazione ma collegato con la prestazione stessa», per tale ragione le malattie che da esso siano generate debbono essere oggetto di tutela in conformità alle previsioni del Testo Unico INAIL.

Va peraltro segnalato che l’INAIL, già da tempo (cfr. Circolare n. 71/2003), ha riconosciuto la possibilità di protezione sociale anche riguardo alle malattie riconducibili non solo alle lavorazioni proprie del ciclo produttivo aziendale ma altresì a quelle derivanti dall’organizzazione aziendale delle attività lavorative -non a caso qualificati comedisturbi psichici determinati dalle condizioni organizzativo/ambientali di lavoro-indicando esemplificativamente come fattori di rischio:

  • marginalizzazione dalla attività lavorativa
  • svuotamento delle mansioni
  • mancata assegnazione dei compiti lavorativi, con inattività forzata
  • mancata assegnazione degli strumenti di lavoro
  • ripetuti trasferimenti ingiustificati
  • prolungata attribuzione di compiti dequalificanti rispetto al profilo professionale posseduto
  • prolungata attribuzione di compiti esorbitanti o eccessivi anche in relazione a eventuali condizioni di handicap psico-fisici
  • impedimento sistematico e strutturale all’accesso a notizie
  • inadeguatezza strutturale e sistematica delle informazioni inerenti l’ordinaria attività di lavoro
  • esclusione reiterata del lavoratore rispetto ad iniziative formative, di riqualificazione e aggiornamento professionale
  • esercizio esasperato ed eccessivo di forme di controllo.

Come si configura l’ipotesi del “superlavoro”?

La giurisprudenza si è spesso occupata della fattispecie del “super-lavoro”, ipotesi che si configura allorquando lo svolgimento di una attività in sé legittima viene svolta in concreto secondo modalità non ordinarie, quindi devianti rispetto alla normale tollerabilità (ad esempio per eccessiva durata o onerosità dei tempi, per produzioni insostenibili, etc.).

In tali situazioni, laddove il lavoratore dimostri che in conseguenza del “super lavoro” ne è conseguito a lui un danno, può agire nei confronti del datore di lavoro per con richiesta di risarcimento per violazione degli obblighi di tutela di cui all’art. 2087 c.c.

Come recentemente affermato dalla giurisprudenza del lavoro (cfr. ad esempio Cass. Civ., n. 34968/2022 e n. 34976/2022), infatti, il caso del superlavoro può  derivare dalla violazione, da parte del datore di lavoro, di obblighi di astensione (dal richiedere al lavoratore prestazioni eccessive) ma anche di obblighi positivi (non avere impedito lo svolgimento dell’attività con quelle modalità non ordinarie ed averne anzi ricevuto gli utili produttivi).

I danni astrattamente richiedibili sono sia quelli di carattere “patrimoniale” che quelli di natura “non patrimoniale”, della relativa prova è onerato il lavoratore che ne pretenda il risarcimento il quale dovrà pertanto dimostrare:

  • i fattori di rischio richiestigli dal datore di lavoro, quindi la condotta (attiva o omissiva) censurabile
  • le conseguenze negative -alla persona o al patrimonio- derivanti dalle illegittime richieste del datore di lavoro
  • il nesso di causa, quindi la diretta correlazione, tra i primi e le seconde

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