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L’esercente la professione sanitaria può essere chiamato a rispondere, dal punto di vista civile o penale, in caso di errore nello svolgimento della sua attività

responsabilità del medico

Responsabilità sanitaria: quanto è diffuso il fenomeno?

Nel rapporto “Delivering quality health services: a global imperative for universal health coverage” pubblicato nell’ottobre 2019 l’Organizzazione Mondiale della Sanità metteva in luce come il 10% dei pazienti andasse incontro ad eventi avversi nel corso di un trattamento sanitario.

Non sorprende quindi che i numeri dei casi di “malasanità” siano rilevanti anche in Italia. Secondo quanto rilevato da Anaao Assomed nel 2022 «Ogni anno in Italia vengono intentate 35.600 nuove azioni legali, mentre ne giacciono 300 mila nei tribunali contro medici e strutture sanitarie pubbliche».

Il rischio di incorrere in un causa per responsabilità è quindi certamente diffuso per gli esercenti la professione sanitaria i quali al fine di tutelarsi rischiano di porre in essere quel comportamento che è noto come “medicina difensiva”: con tale termine ci si riferisce a tutte quelle prestazioni che i medici erogano o richiedono per prevenire contestazioni o azioni da parte dei pazienti, andando anche oltre le attività cliniche che sarebbero suggerite dalla propria competenza rispetto al caso concreto (quindi curando col pensiero più ad evitare il rischio di essere chiamati a rispondere del proprio operato che non alle reali necessità mediche) e che hanno come effetto collaterale quello di incrementare il costo della spesa sanitaria.

Anche per porre rimedio ad una tale situazione nel 2017 è stata promulgata la legge n. 24/2017, meglio nota come legge “Gelli-Bianco”, che ha ridisegnato i confini della responsabilità sanitaria.

A che tipo di responsabilità va incontro il sanitario?

Sinteticamente si può dire che il medico va incontro a responsabilità quando il suo operato è diverso da quello che egli avrebbe dovuto tenere e rispettare secondo le c.d. “linee guida” e cioè i parametri ed i criteri che la comunità scientifica ha individuato come corretti rispetto alla situazione affrontata (cfr. art. 3 Legge n. 24/2017)

Una raccolta di queste buone pratiche è tenuta dal Ministero della Salute attraverso l’Istituto Superiore di Sanità.

Il rispetto da parte del sanitario delle raccomandazioni ed indicazioni delle “linee guida” diviene fondamentale ai fini della affermazione di una sua eventuale responsabilità e ciò:

  • in ambito penale: l’articolo 590 sexies c.p., infatti, prevede che laddove un medico per colpa (quindi non volontariamente) provochi la morte o delle lesioni ad un paziente egli non sia punibile in caso abbia rispettato «le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali».

La possibilità di essere coinvolti in un processo penale per fatti riguardanti l’esercizio del proprio mestiere è una preoccupazione comprensibilmente molto sentita dagli operatori sanitari, tanto è vero che anche recentemente in sede governativa si è fatta strada l’idea di procedere con una depenalizzazione dell’attuale reato (si vedrà quale sarà in concreto la sorte di una tale iniziativa)

  • in ambito civile: salvo il caso in cui abbia stipulato con il paziente un accordo diretto (nel qual caso la responsabilità è quella contrattuale prevista dagli articoli 1218 ss. c.c.) il medico risponde a titolo extra-contrattuale (art. 2043 c.c.).

Della differenza tra i due tipi di responsabilità abbiamo trattato nell’articolo “Danno da responsabilità medica o malasanità”. Qui occorre ricordare che la responsabilità extracontrattuale presuppone una “colpa” del soggetto (cosiddetto “elemento soggettivo”), che potrebbe anche essere esclusa laddove il medico, nel proprio operato, si sia attenuto al sapere scientifico codificato e condiviso nelle linee guida.

Come ricordato dalla Corte di Cassazione (ordinanza n. 30998/2018), infatti, esse, pur non essendo di per sé sole decisive ai fini della affermazione di sussistenza o meno della responsabilità, rappresentano pur sempre “un parametro di valutazione della condotta del medico: di norma una condotta conforme alle linee guida sarà diligente, mentre una condotta difforme dalle linee guida sarà negligente od imprudente”.

Medico e Struttura Sanitaria: quale rapporto?

Con la “riforma Gelli-Bianco” l’azione civile diretta contro il singolo sanitario è stata disincentivata potendo il danneggiato agire direttamente contro la sola struttura sanitaria di appartenenza del medico con una azione di tipo “contrattuale”.

Ai sensi dell’articolo 7 comma 1 Legge n. 24/2017, infatti, «La struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o privata che, nell’adempimento della propria obbligazione, si avvalga dell’opera di esercenti la professione sanitaria, anche se scelti dal paziente e ancorché non dipendenti della struttura stessa, risponde, ai sensi degli articoli 1218 e 1228 del codice civile, delle loro condotte dolose o colpose»

Cosa accade se la struttura sanitaria, verso la quale il paziente (o chi per esso come gli eredi) ha rivolto le proprie pretese, sia chiamata a sborsare un risarcimento per l’errore del medico del quale si è avvalsa?

L’Ente Ospedaliero ha a disposizione la cosiddetta “azione di rivalsa” ovverosia la possibilità di richiedere al sanitario la restituzione di quanto pagato.

Tale azione, tuttavia, non è illimitata in quanto può essere intrapresa solamente laddove il medico abbia agito con “dolo o colpa grave” (cfr. articolo 9 comma 1 L. n. 24/2017), quindi in caso di comportamento illecito posto in essere volontariamente (dolo) o con un errore grossolano (colpa grave), non invece quando sia frutto di un errore minimo e scusabile (colpa lieve); in quest’ultimo caso, quindi, il risarcimento corrisposto rimane a carico della struttura.

Altro requisito affinché l’azione di rivalsa possa essere esercitata è che il medico sia stato coinvolto nella azione giudiziaria oppure nella procedura stragiudiziale di risarcimento oppure, se non è stato coinvolto, occorre che il risarcimento sia stato effettivamente pagato dalla struttura sanitaria la quale ha un anno di tempo per agire contro il sanitario.

Un aspetto importante da sottolineare è il seguente: se il singolo medico non è stato direttamente coinvolto nella procedura risarcitoria (giudiziale o stragiudiziale) la sentenza pronunciata o l’accordo raggiunto in sua assenza non sono definitivi e vincolanti nei suoi confronti (ossia “non fanno stato” come recita l’articolo 9, commi 3 e 4 Legge n. 24/2017).

Ciò significa che nell’eventuale azione di rivalsa successiva intrapresa dalla struttura sanitaria nei suoi confronti il sanitario -pur a fronte di una sentenza o di un accordo transattivo- può mettere in discussione la sussistenza dei presupposti richiesti dalla legge affinché gli possa essere chiesto in rimborso dall’ente ospedaliero quanto pagato al danneggiato.

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