L’impossibilità di utilizzare il mezzo danneggiato durante il periodo di sosta in officina non sempre è fonte di danno risarcibile
Quando si parla di danno da “fermo tecnico” ci si riferisce al pregiudizio che il soggetto coinvolto in un sinistro stradale subisce a causa della materiale impossibilità di utilizzare il proprio veicolo per tutto il tempo necessario a ripararlo oppure per sostituirlo con altro mezzo.
Va da sé che nel lasso di tempo di privazione, il proprietario non può conseguire dal veicolo danneggiato la normale utilità da esso ricavabile sia essa legata ai normali spostamenti della vita quotidiana oppure ad esigenze di natura lavorativa.
È sufficiente l’indisponibilità del mezzo per giustificare un risarcimento del “fermo tecnico”?
È intuitivo argomentare che il mezzo pur non circolando rimane pur sempre una occasione di spesa per il proprietario, il quale ad esempio:
- deve pur sempre sopportare l’onere del “bollo auto” e del premio assicurativo pur non potendo circolare
- subisce il fisiologico deprezzamento del valore del veicolo senza che ciò sia controbilanciato dalla possibilità di utilizzarlo
Proprio per tale ragione, fino a non molti anni fa, la giurisprudenza anche della Corte di Cassazione affermava che la stessa “privazione forzata” del veicolo fosse di per sé stessa la prova della esistenza di un danno da risarcire (cfr. Cassazione Civile, 04.10.2013, n. 22687).
Non era quindi richiesto al proprietario di fornire una prova specifica del danno patrimoniale subito a causa dell’impossibilità di utilizzare il proprio veicolo. In pratica dalla sosta obbligata era comunque desunta la sussistenza di un pregiudizio meritevole di risarcimento.
Così inteso e descritto, pertanto, il danno da “fermo tecnico” era risarcibile in via automatica al danneggiato che dimostrasse anche il solo fatto storico dei giorni di sosta forzata del mezzo (un giorno corrisponde all’incirca ad otto ore di lavoro di manodopera).
La traduzione in termini monetari del danno avveniva quindi usualmente in via equitativa (art. 1226 c.c.), attraverso una somma di denaro stabilita una tantum e senza che vi fosse la necessità di effettuarne un calcolo preciso (cfr. Cassazione Civile, 08.05.2012, n. 6907), anche se era pur sempre buona cosa produrre copia dei pagamenti di bollo e assicurazione, nonché valida documentazione attestante il valore di mercato del veicolo incidentato, così da ottenere un ristoro il più possibile coerente con il danno effettivo.
Quale è la posizione attuale della giurisprudenza in tema di danno da fermo tecnico?
Purtroppo per i danneggiati, la giurisprudenza ha assunto nel recente passato un orientamento, che va consolidandosi, più rigido in quanto chiede che sia fornita una prova precisa e puntuale del danno lamentato e chiesto in ristoro.
Fulcro di questo cambio di direzione può essere considerata la sentenza della Corte di Cassazione 14.10.2015, n. 20620 la quale in estrema sintesi ha affermato che:
- il semplice fatto che il veicolo sia oggetto di sosta forzata e che pertanto il proprietario ne rimanga privo non è circostanza sufficiente a dimostrare l’esistenza di un danno risarcibile
- il pagamento del “bollo auto”, in quanto tassa sulla proprietà, è comunque dovuto anche a prescindere dalla circolazione del mezzo
- quanto al premio assicurativo r.c.a., dal momento che il rischio che il mezzo possa essere fonte di danno ai terzi non cessa durante il periodo della riparazione, esso è dovuto senza contare che il proprietario potrebbe chiedere all’assicuratore di sospendere l’operatività della polizza
- il limitato periodo necessario alle riparazioni non può essere fonte di automatico deprezzamento del valore del mezzo
Danno da fermo tecnico: che cosa viene risarcito?
Il “nuovo” orientamento della giurisprudenza, pertanto, ferma la necessità per il proprietario di dare prova della inutilizzabilità del mezzo per i giorni in cui esso è stato sottratto alla sua disponibilità, ammette che il periodo di “fermo tecnico” sia fonte di risarcimento:
- dei costi materialmente sostenuti per il noleggio di un mezzo sostitutivo oppure per il ricorso a mezzi di trasporto pubblici (autobus, treni, taxi, etc.); si tratta del c.d. “danno emergente”.
Per fornire la prova di tale pregiudizio occorrerà quindi conservare tutti i documenti ad esso relativi, come ad es. contratto di noleggio, fatture o ricevute di spesa, etc.
- delle occasioni di guadagno andate perdute per non aver potuto impiegare il mezzo in una determinata attività lavorativa (si pensi, a titolo d’esempio, ai casi del NCC oppure del padroncino conto terzi che non possono esercitare la propria attività); si tratta del c.d. “lucro cessante”.
Anche in questo caso per poter aspirare ad ottenere il ristoro del mancato guadagno bisognerà essere in grado di provare (attraverso documentazione e testimonianze comprovanti le occasioni sfumate ed i mancati guadagni) l’effettiva esistenza del danno economico.
Conclusioni critiche sul danno da fermo tecnico.
I recenti e restrittivi approdi dalla giurisprudenza appaiono quantomeno criticabili, potendosi obiettare che:
- essendo la proprietà del veicolo finalizzata alla circolazione (e non alla sosta), il fatto di non poterlo forzatamente utilizzare per un certo periodo rende la “quota” di tributo inutilmente sostenuto
- la sospensione dell’operatività della polizza per brevi periodi (come quelli necessari alla riparazione) è ipotesi di fatto impraticabile
- il deprezzamento del valore del mezzo è una conseguenza connaturata alla vita dei veicoli
Non da ultimo, il fatto di essere incolpevolmente privati del mezzo di trasporto incide su di una libertà fondamentale qual è il “diritto di circolazione” tutelato dall’art. 16 Costituzione, che può essere limitato solo per legge e per motivi di sanità o sicurezza.
Il danneggiato, pertanto, dalla impossibilità di utilizzare il mezzo di locomozione, vede inciso negativamente il suo interesse costituzionalmente tutelato a circolare e, più in generale, ad organizzare liberamente il tempo suo (e della propria famiglia). Se consideriamo che qualsiasi lesione di un interesse o valore costituzionalmente protetto e non suscettibile di valutazione economica può essere ricondotto nell’ambito tutelato dall’art. 2059 c.c., è quindi lecito sostenere che la forzata impossibilità di circolare liberamente per un certo periodo non debba rimanere priva di ristoro, considerato tra l’altro che la mancata disponibilità del veicolo non coincide il fatto illecito (sinistro stradale) ma ne è una conseguenza immediata e diretta (cfr. art. 1223 c.c.).