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Il licenziamento del lavoratore invalido per aggravamento delle condizioni di salute

I lavoratori disabili possono usufruire dei benefici di un regime di collocamento tutelato che consente loro di ridurre le difficoltà di inserimento nel mercato del lavoro.

Lo scopo di questo regime agevolato è quello di promuovere la loro integrazione sociale ed il pieno sviluppo della loro persona.

Talvolta, però, a causa dell’aggravarsi delle loro condizioni di salute, è possibile che il lavoratore disabile non sia più compatibile con il ruolo originariamente assegnatogli in azienda e non sia più in grado, in tutto o in parte, di adempiere alle mansioni affidategli dal datore di lavoro.

Se questa incompatibilità diventa definitiva il lavoratore potrà essere licenziato per giustificato motivo oggettivo.

La relativa procedura è disciplinata da speciali norme di legge, vediamo quali.

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Cosa si intende per “lavoratore invalido”?

Tutti probabilmente abbiamo sentito parlare della “Legge 104” o del “collocamento mirato” dei lavoratori disabili.

Con queste definizioni ci si riferisce alla “Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate” del 05 febbraio 1992 e alle “Norme per il diritto al lavoro dei disabili” della Legge 12 marzo 1999, n. 68 che ancora oggi rappresentano la normativa di riferimento:

  • per cercare di assicurare adeguato aiuto alle persone diversamente abili e ai familiari che di essi si prendono cura
  • per consentire a coloro che siano affetti da minorazioni fisiche, sensoriali o psichiche di trovare una occupazione che sia la più adatta possibile, quindi fruttuosa per sé e per il datore di lavoro.

In linea generale, si può dire che coloro che possono vantare i requisiti di legge, che siano privi di occupazione e che vogliano ricercare un lavoro conforme alle proprie capacità possono accedere al beneficio del “collocamento mirato” iscrivendosi in speciali elenchi territoriali tenuti dai Centri per l’impiego.

Ai sensi dell’articolo 2 della Legge n. 68/1999 per “collocamento mirato” dei disabili si intende tutta «quella serie di strumenti tecnici e di supporto che permettono di valutare adeguatamente le persone con disabilità nelle loro capacità lavorative e di inserirle nel posto adatto, attraverso analisi di posti di lavoro, forme di sostegno, azioni positive e soluzioni dei problemi connessi con gli ambienti, gli strumenti e le relazioni interpersonali sui luoghi quotidiani di lavoro e di relazione». 

Per poter accedere a tali benefici è evidentemente necessario ottenere una certificazione medica specifica rilasciata a seconda dei casi da ASL, INAIL o INPS che attesti l’esistenza, per la persona richiedente, dei requisiti sanitari necessari per appartenere alle categorie protette (cfr. articolo 1 Legge n. 68/1999).

Cosa può accadere in caso di aggravamento delle condizioni di salute di un lavoratore?

L’argomento è già stato trattato nell’articolo sull’impugnazione del licenziamento ove si era detto che l’eventuale inidoneità psico-fisica del lavoratore allo svolgimento della mansione rientra tra le possibili ipotesi di licenziamento per “giustificato motivo oggettivo”. 

Nel caso di rapporto di lavoro “ordinario” l’accertamento della sopravvenuta inidoneità del lavoratore è di competenza del medico del lavoro, e nel caso la valutazione del sanitario sia di inidoneità allo svolgimento della mansione il datore deve:

  • attuare le misure cautelative indicate dal medico del lavoro
  • in caso di inidoneità del dipendente allo svolgimento della specifica mansione, adibire il lavoratore ad altre e diverse mansioni equivalenti o, al fine di salvaguardare l’occupazione, a mansioni inferiori garantendo però il trattamento economico precedente
  • in ipotesi di assenza di mansioni disponibili cui adibire il lavoratore inidoneo potrà procedere con il licenziamento per “giustificato motivo oggettivo” 

Tale procedura non si applica al rapporto di lavoro del lavoratore disabile, dal momento che la legge prevede una disciplina ad hoc per tale ipotesi.

Come si procede in caso di aggravamento delle condizioni di salute del lavoratore disabile?

L’articolo 10 comma 3 della L. n. 68/1999 in ipotesi di aggravamento delle condizioni del lavoratore disabile, prevede che:

  • il lavoratore possa chiedere che venga accertata la compatibilità o meno delle mansioni a lui affidate con il proprio stato di salute sopravvenuto;
  • il datore di lavoro possa chiedere che vengano accertate le condizioni di salute del lavoratore disabile per verificare se, a causa delle sue minorazioni, egli possa continuare ad essere utilizzato presso l’azienda;
  • qualora venga riscontrata una condizione di aggravamento che sia incompatibile con la prosecuzione dell’attività lavorativa il lavoratore ha diritto alla sospensione non retribuita del rapporto di lavoro fino a che l’incompatibilità persista;
  • a differenza del rapporto di lavoro “ordinario” nel caso di lavoratore disabile l’accertamento non è fatto dal medico del lavoro aziendale bensì dalla speciale commissione medica dell’azienda sanitaria locale (cfr. articolo 10 comma 3 Legge n. 68/1999, articolo 4 Legge n. 104/1992, articolo 1 Legge n. 295/1990)

Solo nel caso in cui la commissione medica accerti la definitiva impossibilità di reinserire il disabile all’interno dell’organizzazione aziendale anche dopo che siano stati attuati i possibili adattamenti dell’ambiente di lavoro, il lavoratore potrà essere licenziato per giustificato motivo oggettivo. Sul tema tra le altre si è espressa anche la Corte di Cassazione – sezione Lavoro – con sentenza n. 7524/2017 del 23.03.2017.

Cosa si intende per “possibili adattamenti” dell’ambiente di lavoro?

Per quanto detto poc’anzi è evidente che assume importanza fondamentale stabilire in che cosa consistano i “possibili adattamenti” dell’ambiente di lavoro che il datore può essere chiamato ad attuare per consentire al lavoratore disabile di conservare il posto di lavoro. 

La materia, come ha ricordato anche la Sezione Lavoro della Corte di Cassazione (cfr. ordinanza n. 31471/2023), deve necessariamente essere affrontata anche alla luce della normativa comunitaria, in particolare da quanto previsto dalla Direttiva n. 78/2000/CE del 27.11.2000 (attuata in Italia dal Decreto Legge n. 76/2003 che ha inserito nell’art. 3 Decreto Legislativo n. 216/2003 il comma 3 bis che così prevede: «Al fine di garantire il rispetto del principio della parità di trattamento delle persone con disabilità, i datori di lavoro pubblici e privati sono tenuti ad adottare accomodamenti ragionevoli, come definiti dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, ratificata ai sensi della legge 3 marzo 2009, n. 18, nei luoghi di lavoro, per garantire alle persone con disabilità la piena eguaglianza con gli altri lavoratori»), che ha come obiettivo quello di tutelare il lavoratore che si trovi in condizione di “handicap”.

Ai sensi dell’articolo 5 della Direttiva n. 78/2000 il rispetto del principio della parità di trattamento dei lavoratori disabili è garantito anche tramite la previsione ed il ricorso a soluzioni ragionevoli, definite come provvedimenti:

  •  appropriati, che il datore di lavoro è tenuto ad adottare in funzione delle esigenze delle situazioni concrete, per consentire ai disabili di accedere ad un lavoro, di svolgerlo o di avere una promozione o perché possano ricevere una formazione
  • non comportanti oneri economici sproporzionati 

Il datore di lavoro, quindi, è tenuto ed obbligato ad adottare soluzioni organizzative ed accorgimenti ragionevoli, e cioè tecnicamente possibili e non eccessivamente costosi, per garantire la conservazione del posto di lavoro al lavoratore disabile, anche considerato che alla luce della normativa nazionale e comunitaria vige un tendenziale principio di divieto di licenziamento del lavoratore diversamente abile.

Cosa accade se non si rispetta la procedura speciale prevista per il lavoratore disabile?

Come visto in precedenza, la legge riserva la verifica e l’accertamento della compatibilità delle mansioni affidate al lavoratore disabile con il suo stato di salute, anche sopravvenuto, alla speciale competenza delle commissioni appositamente istituite presso le unità sanitarie locali.

Tale percorso vincolato dalla legge non può essere “aggirato” o sostituito dal giudizio del medico del lavoro aziendale. Nel caso in cui il datore di lavoro, sulla base del giudizio di inidoneità espresso dal medico incaricato della sorveglianza sanitaria, ritenga di non poter più adibire il disabile alla mansione specifica dovrà chiedere l’intervento della commissione speciale. 

Non potrà invece, procedere al licenziamento del lavoratore disabile sulla base del solo giudizio di inidoneità alla mansione espresso dal medico del lavoro aziendale, trattandosi di provvedimento illegittimo che come tale potrà essere impugnato dal lavoratore.

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