·
info@studiolegalegulino.it
·
Lun - Ven 08:30-13:00 | 15:00-19:30
045 8034209

Il c.d. “patto di prova” è una condizione apposta ad un contratto di lavoro in forza della quale nella fase iniziale del rapporto entrambe le parti -datore e prestatore- possono valutare reciprocamente la convenienza o meno a rendere definitivo il rapporto stesso

Patto di prova

Cos’è il “patto di prova”?

Il “patto di prova” è disciplinato dall’art. 2096 c.c. e consiste, essenzialmente, in uno specifico accordo che datore di lavoro e lavoratore appongono al contratto affinché, per un certo periodo iniziale, essi siano reciprocamente liberi di capire se valga o meno la pena di rendere definitivo il rapporto di lavoro.

Caratteristiche essenziali del patto di prova sono, secondo la norma citata, le seguenti:

● la necessità di forma scritta (salvo che il CCNL di riferimento non preveda diversamente)

● obbligo per il datore di lavoro e per il lavoratore di consentire e di prestare la prova concordata (restano fermi gli obblighi generali di comportarsi secondo buona fede e correttezza ex artt. 1175 e 1375 c.c.)

libertà per ciascuna parte, durante il periodo di prova, di recedere dal contratto senza necessità di motivazione, indennità o preavviso – salvo che sia previsto un tempo minimo di prova, in tal caso il recesso non può essere esercitato prima della scadenza del termine

Una volta decorso positivamente (per entrambe le parti) il periodo di prova l’assunzione del lavoratore diviene definitiva ed il servizio prestato nel corso di detto periodo rileva ai fini dell’anzianità di servizio.

Come deve essere stipulato il “patto di prova”?

Si è detto che il patto, salve ipotesi eccezionali eventualmente previste dai CCNL, va stipulato per iscritto a pena di nullità (cfr. art. 1350 n. 13 c.c.).

Esso, ovviamente, va pattuito al momento della stipulazione del contratto di lavoro (essendo illecito un patto di prova stipulato successivamente a rapporto oramai in corso) e deve contenere la manifestazione di volontà di tutte e due le parti (così, ad esempio, non è sufficiente la previsione del periodo di prova nella sola lettera di assunzione redatta e consegnata dal datore di lavoro, a meno che il documento non sia firmato per ricevuta ed accettazione dal lavoratore).

L’eventuale nullità del patto di prova ha come conseguenza che entrambe le parti sono vincolate, sin dall’inizio, ad un rapporto di lavoro stabile e definitivo e l’eventuale licenziamento per mancato superamento della prova risulterebbe illegittimo.

Nell’accordo inerente il patto di prova le parti debbono necessariamente indicare, sempre a pena di nullità, le specifiche mansioni per le quali esso è stipulato: in mancanza di una dettagliata identificazione dei compiti oggetto di valutazione, infatti, al lavoratore sarebbe preclusa la possibilità di impegnarsi per dimostrare le proprie attitudini professionali mentre il datore si vedrebbe privato della facoltà di esprimere una compiuta valutazione in ordine all’attività svolta dal prestatore.

In sostanza, dal momento che la causa del patto di prova è quella di tutelare l’interesse di entrambe le parti a valutare la reciproca convenienza a stipulare un rapporto di lavoro definitivo, la mancanza di indicazione delle mansioni oggetto della prova renderebbe il patto stipulato incoerente con la propria ragion d’essere.

Quanto può durare il periodo di prova?

Solitamente la durata massima del periodo di prova è stabilita dai CCNL, sebbene un limite indiretto possa essere rinvenuto nell’art. 10 L. n. 604/1966 che stabilisce la sua applicabilità ai rapporti comunque iniziati da sei mesi.

In ipotesi particolarissime è la legge a stabilire la durata massima del periodo di prova: è il caso, ad esempio, del rapporto di lavoro domestico (da otto giorni ad un mese a seconda dell’inquadramento – cfr. art. 5 L. n. 339/1958).

Le parti possono validamente pattuire una durata massima del periodo di prova superiore a quella prevista dal CCNL di riferimento solamente nel caso in cui la particolare complessità e particolarità delle mansioni affidate al lavoratore renda necessaria una più lunga valutazione.

L’eventuale proroga del periodo di prova è ritenuta legittima purché:

● il periodo complessivo non superi i sei mesi

● sia prevista solo una volta terminato il primo periodo pattuito dalle parti: la proroga, infatti, altro non sarebbe che una “seconda possibilità” offerta al lavoratore dal datore che abbia constato l’insufficienza della prima valutazione

Dal momento che il patto di prova è diretto a consentire ad entrambe le parti di valutare la convenienza di un eventuale rapporto in ordine a determinate mansioni, è stata ravvisata l’illegittimità del patto laddove i medesimi soggetti intrattengano successivi rapporti di lavoro e venga stipulato un nuovo patto di prova riferito alle medesime mansioni già positivamente superate in precedenza.

È fatto salvo il caso in cui un nuovo periodo di prova sia richiesto da circostanze personali o dell’ambiente di lavoro mutate nel corso del tempo che richiedano una nuova valutazione: si pensi al caso del portalettere impiegato dapprima con breve contratto in un piccolo paesino di provincia e poi trasferito in una grande città (quindi in contesto ambientale e di lavoro del tutto diverso) oppure dell’operaio il cui lavoro debba essere eseguito tramite macchinari o processi operativi completamente diversi da quelli utilizzati in precedenza (e che pertanto impongano una diversa e rinnovata valutazione delle attitudini lavorative).

Cosa accade al termine del periodo di prova?

Al termine del periodo di prova, se nessuna parte esprime volontà di recedere, la condizione apposta al contratto si ritiene automaticamente superata e il contratto prosegue in via definitiva, senza che sia necessario provvedere ad alcuna formalità in tal senso.

In via alternativa ciascuna delle parti può liberamente recedere dal rapporto di lavoro, che in tal modo non si consolida.

Vi sono tuttavia ipotesi di illegittimità del recesso da parte del datore di lavoro, tra queste i casi in cui:

  • non abbia effettivamente consentito al lavoratore di prestare la prova: esempi di tale fattispecie sono il mancato rispetto del termine temporale pattuito oppure l’aver assegnato il lavoratore a mansioni differenti da quelle concordate (e così al prestatore non è concesso tempo sufficiente o modo adeguato per dimostrare le proprie capacità)
  • la prova sia stata nel frattempo positivamente superata dal lavoratore
  • manchi una reale valutazione delle capacità professionali del lavoratore
  • sia ricollegabile a motivo illecito (come può essere una ragione discriminatoria) o a mancanza di requisiti di idoneità che erano sicuramente accertabili prima dell’inizio del rapporto o ancora per motivazioni estranee al contenuto del patto di prova

Ipotesi particolare è quella relativa al licenziamento della lavoratrice madre: di norma illegittimo dall’inizio del periodo di gravidanza e sino ad un anno di vita del figlio, è prevista una eccezione al divieto nel caso di esito negativo della prova (cfr. art. 54 co. 3 D.Lgs. n. 151/2001).

E se il recesso è illegittimo?

Nel caso in cui il lavoratore reputi illegittimo il recesso del datore di lavoro al termine di un valido periodo di prova, quindi nel caso in cui il datore abbia fatto un distorto esercizio della discrezionalità riconosciutagli dall’art. 2096 c.c., al prestatore è riconosciuto:

  • il diritto alla prosecuzione della prova per il periodo mancante (ove possibile)
  • il diritto al risarcimento del danno: esso potrà avere ad oggetto sia la perdita economica derivante dal concreto rifiuto di altre occasioni di lavoro all’epoca dell’assunzione in prova (c.d. danno da perdita di chance) e sia il mancato percepimento di reddito futuro (concretamente tale voce è sovente quantificata avendo come parametro il periodo medio di disoccupazione di un lavoratore equivalente).

Dunque, come affermato dalla giurisprudenza (cfr. Cass. Civ., n. 31159/2018; Cass. Civ., n. 23231/2010) la dichiarazione di illegittimità del recesso nel periodo di prova non può comportare che il rapporto di lavoro debba essere ormai considerato come stabilmente costituito.

Occorre però precisare che incombe sul lavoratore che intenda contestare la scelta datoriale di interrompere il rapporto di lavoro l’onere della prova in ordine

  • sia al positivo superamento della prova e sia al fatto che il recesso
  •  sia stato determinato da motivo estraneo alla funzione del patto di prova.

Rimani sempre aggiornato

La nostra newsletter mensile comprende aggiornamenti in ambito legale e consigli utili per tutti i nostri iscritti