La non corretta qualificazione del rapporto di lavoro intercorrente tra agenzia immobiliare e prestatore di lavoro (autonomo anziché subordinato) si risolve a svantaggio del secondo
Cosa sono le “false partite iva”?
Con la nozione di “false partite IVA” si fa riferimento a tutti quei rapporti di impiego che, sebbene formalmente qualificati ed inquadrati come “autonomi”, sono nella sostanza delle vere e proprie “subordinazioni”.
La differenza tra le due figure la possiamo ritrovare nel codice civile: ai sensi dell’art. 2094 c.c. «E’ prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore» mentre ai sensi dell’art. 2222 c.c. «Quando una persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo un’opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente, si applicano le norme di questo capo, salvo che il rapporto abbia una disciplina particolare nel libro IV».
Come si vede ciò che distingue le due figure è la indipendenza organizzativa ed operativa del lavoratore autonomo rispetto al lavoratore subordinato: il primo rispetto al secondo decide da per sé quando e come eseguire la prestazione oggetto dell’accordo, facendosi carico di gestire e decidere le risorse necessarie da impiegare; il secondo invece è soggetto al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro (c.d. etero-direzione).
Perché si ricorre alla collaborazione a “partita iva”?
La motivazione che talvolta spinge un imprenditore a preferire un rapporto di collaborazione “a partita iva” piuttosto che un rapporto di lavoro “subordinato” può avere natura strettamente economica in quanto il primo ha costi, oneri ed obblighi sicuramente inferiori rispetto al secondo (si pensi, anche solo banalmente, alla assenza dei contributi previdenziali ed assistenziali, delle ferie retribuite, della 13ma o 14ma mensilità, dei permessi retribuiti, delle garanzie reali od obbligatorie di mantenimento del posto di lavoro, di applicazione delle previsioni normative ed economiche dei CCNL, etc.).
Di qui il proliferare, negli anni, di rapporti di lavoro che sebbene costituenti veri e propri impieghi subordinati venivano formalmente qualificati come “a partita iva”: in tal modo l’imprenditore poteva continuare a godere dei “vantaggi” tanto della subordinazione (decidendo tempi e modi della prestazione lavorativa, sempre soggetta al suo potere disciplinare) quanto della autonomia (essendo esonerato dagli oneri e costi tipici di tale forma di impiego).
Tanto per dare una dimensione, per quanto necessariamente orientativa, al fenomeno, si pensi che in uno studio risalente al 2014 presso il Laboratorio delle Politiche Sociali del Politecnico di Milano si quantificavano in 400.000 le “false partite iva” di cui 95.000 operanti in ambito immobiliare.
False partite IVA in ambito immobiliare?
Occorre premettere che la figura dell’agente immobiliare è stata regolamentata dal legislatore, che ha posto alcuni requisiti necessari per essere mediatori come:
- il titolo di studio minimo (diploma di scuola superiore)
- la frequentazione di un corso di formazione specifico con superamento dell’esame finale e l’ottenimento del c.d. “patentino di agente immobiliare”
- l’iscrizione nel registro delle imprese o al REA (Repertorio delle notizie Economiche e Amministrative) tenuti dalla Camera di Commercio
- il possesso di adeguata assicurazione professionali contro i rischi
In ambito immobiliare, tuttavia, capita spesso di imbattersi in figure che, pur operando nell’interesse dei mediatori, non possano qualificarsi come “agenti”.
Si tratta in particolare dei c.d. “incaricati delle visite immobiliari” ovverosia dei soggetti ai quali l’agente immobiliare affida il compito di cercare sul territorio immobili da vendere (o affittare) e contattare clienti, così da ampliare il portafoglio clienti dell’agente stesso.
Con tali soggetti solitamente l’agente immobiliare non stipula un contratto di lavoro subordinato (come visto in precedenza molto impegnativo ed oneroso) ma accordi di collaborazione autonoma (di ben più facile ed economica gestione).
Quando un “incaricato” è falsa partita IVA?
Con riguardo alla figura dei “collaboratori” dell’agenzia immobiliare in una Guida elaborata dalla Camera di Commercio di Vicenza si evidenzia che essi sono riconducibili a quattro categorie:
- agenti d’affari in mediazione “autonomi” con tesserino obbligatorio e polizza assicurativa propria
- agenti d’affari in mediazione “mandatari” iscritti con posizione autonoma REA al Registro imprese, ma che agiscono in via prevalente o esclusiva in nome e per conto di un’altra agenzia “mandante”
- agenti di commercio, iscritti con posizione autonoma REA, al Registro imprese e all’Enasarco che agiscono su mandato dell’agenzia con incarico di ricerca di clientela
- dipendenti (segretari, contabili, etc.)
La Guida specifica altresì che «al di fuori delle figure elencate, non è possibile lavorare nell’agenzia immobiliare con qualifiche ulteriori come ad es. “ricerche di mercato” o “procacciatore d’affari nel settore immobiliare”, cioè operare per la ricerca di clientela/affari in campo immobiliare, stipulare contratti preliminari di compravendita o accordi di provvigione senza iscrizione al Registro Imprese o senza requisiti, neppure in via occasionale, poiché la legge prevede le figure specifiche del mediatore professionale, del mediatore occasionale […] o dell’agente di commercio che opera con mandato dell’agenzia immobiliare, sempre con iscrizione obbligatoria al Registro Imprese».
Si comprende quindi come la figura del cosiddetto “incaricato della visita immobiliare” inquadrato all’interno dell’agenzia immobiliare come collaboratore autonomo presenti di per sé dei profili di problematicità.
Perplessità che peraltro si aggravano esaminando quali possono essere, in concreto, i verosimili elementi caratterizzanti il rapporto tra agente immobiliare-titolare e collaboratore- incaricato con il primo che:
- impartisce direttive di carattere generale circa gli obiettivi di ricerca (zone, tipologie di immobili, etc.)
- esercita un controllo sui risultati ottenuti
- mette a disposizione locali, attrezzature, strumenti di lavoro
- predetermina un orario di lavoro
- prevede un compenso o rimborso spese fisso da pagarsi a cadenze regolari
In una situazione di tale genere è palese che il ricorso al rapporto “a partita iva” (nelle forme tipiche della collaborazione coordinata e continuativa oppure a progetto etc.) è strumentale in quanto nasconde un vero e proprio rapporto di lavoro subordinato, sussistendo gli elementi caratteristici di tale figura contrattuale (come visto nel paragrafo di apertura).
In questo senso si è espressa, ad esempio, la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 22293/2019 la quale, nel confermare la sentenza della corte d’appello (che aveva riconosciuto la sussistenza di un rapporto di subordinazione fra un lavoratore ed una agenzia immobiliare avendo accertato che il finto collaboratore autonomo era in realtà soggetto ad un potere gerarchico e disciplinare, assegnato ad una sede di lavoro, le cui mansioni venivano svolte mediante puntuale indicazione degli immobili da visionare e con utilizzo di attrezzature aziendali), ha affermato che l’ipotesi di etero-direzione rivelatrice di un rapporto di lavoro subordinato e non autonomo non può dirsi esclusa da eventuali margini di autonomia, iniziativa e discrezionalità di cui può godere il dipendente.
Riassumendo: il fatto di aver stipulato con una agenzia immobiliare un contratto qualificato come di lavoro autonomo non preclude al lavoratore “finta partita iva”, ovviamente laddove ne sussistano in concreto i presupposti (che sarà il lavoratore a dover provare rigorosamente), di agire per veder riconosciuto il proprio status di dipendente con tutte le conseguenti tutele, economiche e giuridiche, previste dalla normativa applicabile allo specifico caso.